Preceduta da un quantomai opportuno minuto di silenzio in suffragio delle vittime dell’alluvione sarda, al Teatro Lirico di Cagliari dal 22 novembre è in scena “Pagliacci”, dramma in un prologo e due atti su libretto e musica di Ruggero Leoncavallo.
Nonostante la grave situazione economica e di gestione del Teatro (la nomina del sovrintendente è stata appena annullata dal TAR di Cagliari), l’edizione merita complessivi plausi e apprezzamenti.

Cellia Costea
Gli interpreti (Nedda/
Colombina Cellia Costea, Canio/Pagliaccio
Rubens Pelizzari, Tonio/Taddeo, Peppe/Arlecchino
Saverio Fiore, Silvio
Gianpiero Ruggeri, primo contadino
Carlo Checchi, secondo contadino Marco Tomasoni) si sono dimostrati all’altezza dei rispettivi ruoli, con quale perplessità sulla coerenza vocale di Nedda, a tratti eccessiva e smodata, compensata peraltro da presenza scenica e adeguatezza teatrale. Davvero portentosa la tecnica e la portata sonora della voce di Canio, specialmente nel prologo iniziale, peraltro favorito dalla collocazione proscenica.
Ciò che ha davvero reso lo spettacolo degno del nome del Teatro Cagliaritano, oramai (deve dirsi, contrariamente al passato) al pari per programmazione, ricerca e per capacità professionale dei maggiori teatri d’opera esistenti, è stata la bravura delle masse orchestrale e corale.

Teatro lirico di Cagliari
L’orchestra (che ha peraltro magistralmente eseguito in apertura di serata 5 brani lirico/sinfonici prima dell’opera) è stata diretta abilmente dal maestro
Marcello Mottadelli, bacchetta sicura e interprete maturo della musica verista; il coro ha lodevolmente contribuito, oltre che con la perfetta esecuzione delle parti a lui assegnato dalla partitura, alla rappresentazione scenica coinvolgente e appassionante della storia.
La regia di Franco Zeffirelli (in perfetta simbiosi con i costumi di
Raimonda Gaetani e le luci di
Gianni Paolo Mirenda) ha però definitivamente sancito il successo dell’edizione: la ricchezza di soluzioni sceniche e il consistente utilizzo di comparse e invenzioni teatrali (la Vespa anni ’50 in scena o i due trans sono stati una trovata geniale, solo per citarne alcuni) e di movimenti scenici veloci e senza sosta, ha reso ancora una volta giustizia alla firma intramontabile di un genio (forse l’ultimo) della regia lirica delle opere italiane.
Resta la solita amara considerazione della svalutazione di un patrimonio culturale che, ove opportunamente gestito da teatri elevati e di grande livello artistico come quello cagliaritano e quando scevro da polemiche e diatribe tanto politiche e poco artistiche, potrebbe consentire la svolta nella gestione – anche economica – delle professionalità nazionali. Ma questa è altra storia …