Oggi è ...
Grazie a tutti...
abbiamo appena raggiunto
1.790.000 visite

Intervista a Beppe Navello, direttore del Festival Internazionale "Teatro a Corte"

Il Festival rappresenta un’interessante opportunità anche sul versante del turismo culturale alla scoperta di luoghi e paesaggi indimenticabili del territorio piemontese.

di Nadia Macrì - 15 luglio 2015
3175

Dopo gli studi universitari di lettere in Italia e in Francia, si è formato teatralmente al Teatro Stabile di Torino come regista assistente di Mario Missiroli, tra il 1977 e il 1981. In quegli anni comincia anche la collaborazione con i programmi culturali di RadioTre. È del 1986 la prima nomina a direttore del Teatro Stabile dell'Aquila, e torna alla direzione dello stesso tra il 1994 e il 1997, Dal 2001 ha fondato e diretto il Festival internazionale “Teatro Europeo” diventato poi “Teatro a Corte” perché itinerante attraverso le dimore sabaude del Piemonte. Il Festival insieme alla Fondazione Teatro Piemonte Europa (riconosciuta nel 2007 dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali Teatro Stabile d’Innovazione) ha sviluppato la propria azione in tutta Europa stabilendo legami, scambi e accordi coproduttivi con i maggiori centri di cultura dello spettacolo dal vivo del continente.

Raggiungiamo Beppe Navello per confrontarci con un grande uomo di teatro sul peso dell’Arte, fra partecipazione e sentimento, Otello e i Tre Moschettieri, il cinema muto e la danza del corpo, fra la lentezza del teatro e l'immediatezza della rete.

Noi siamo Fratelli d'Arte Magazine, e allora per iniziare chiedo cos'è l'Arte per un regista teatrale italiano, direttore della Fondazione Teatro Piemonte Europa?
L'Arte è uno sguardo diverso sul mondo rispetto a quello realistico o analitico che portano altre attività scientifiche o anche sociali come la politica o appunto la sociologia, la storia, l’analisi quotidiana.
L'Arte è qualcosa che afferra una provocazione, da qualsiasi aspetto dell'attività umana e anche della cultura umana, e la aggredisce da un punto di vista diverso, un punto di vista molto più ambiguo, nel senso che non deve avere la pregnanza di una definizione sociologica, politica, matematica o economica, ma piuttosto fa echeggiare delle sensazioni, delle intuizioni, delle emozioni che aspetti diversi della realtà e della vita provocano. E da questo sguardo, da questa particolare sensibilità, quando si è in sintonia con le parole più segrete, quelle non dette, ecco che suscitano e provocano il fenomeno artistico.

A proposito di queste parole segrete, lei ha utilizzato in questa bellissima definizione i verbi aggredire ed echeggiare: alla fine l’arte è qualcosa di forte che però diventa leggero?
Assolutamente sì! Diventa leggero e diventa anche fortissimo proprio per la sua leggerezza, nel senso che provoca appunto quelle intuizioni, quelle emozioni, quelle vibratilità di cui parlavo prima, ma che possono veramente segnare molto più profondamente che non altre discipline di giudizio finale. Faccio un esempio concreto.
L'altro giorno ero ad una tavola rotonda attorno al tema della violenza contro la donna, si presentava un libro di poesie dedicato a questo tema e c'erano naturalmente delle donne che svolgono attività politica, una sociologa, un avvocato e poi c'ero io e c'erano altri artisti, una poetessa e una disegnatrice. Le cose che ovviamente hanno detto la politica, la sociologa e l’avvocato erano molto più precise delle nostre rispetto al problema, perché affrontavano il problema da un punto di vista di definizione che rientra in queste categorie per cercare di arginarlo, di risolverlo, di affrontarlo. Le nostre evidentemente erano molto più ambigue, molto più incerte, talvolta quasi balbettanti, ma sicuramente fondavano in emozioni molto diverse. E se uno prende una pagina qualunque su questo tema, penso alla più famosa, la pagina  di Otello che entra nella stanza di Desdemona per strangolarla e le dice delle cose che rassomigliano veramente all’atteggiamento maschile rispetto al tema della violenza contro donna, perché Otello in quel momento si fa giustiziere, è addoloratissimo del fatto di dover uccidere Desdemona però dice anche a se stesso che non può fare altrimenti, e questo atto purificherà la donna da tutti i suoi peccati e le dice di dire le preghiere della sera… In una pagina di 400 anni fa, c'è già un’intuizione rispetto a quel problema, molto profetica, molto anticipatrice e universale. Ecco sono temi che possono suscitare un’emozione catartica, profondamente risanatrice sull’anima umana.

E riprendendo questa dimensione del tempo, lei con l’Università di Torino (con la cattedra di Storia del Teatro della Facoltà di Scienze della formazione ndr.) si trova di fronte a tanti giovani, che tipo di interesse trova in queste nuove generazioni verso il teatro? C’è differenza pensando a quando lei, da giovane studente, si affacciava a questa realtà?
Sì, radicale! Non c'è dubbio che il teatro è diventato per le nuove generazioni un linguaggio molto poco quotidianamente praticato rispetto alla facilità dei linguaggi digitali ed elettronici della rete. E' più difficile riportare ai ragazzi a fare lo sforzo di entrare in un universo diverso che il più delle volte è verbale, o è visivo, ma comunque richiede una mediazione semantica molto complessa. Quello della rete è molto più facile: basta una faccetta sorridente per dire che si approva un messaggio, che si approva un evento che si approva qualcosa. Ovviamente il linguaggio teatrale è infinitamente più lento e complesso, e soprattutto nella lentezza c’è - credo - la debolezza del teatro e anche la sua forza, perché poi quando si ha la capacità  di attrarre i ragazzi in questo universo, si ha anche il tempo di coinvolgerli su una riflessione diversa, una riflessione più forte,  più duratura, molto meno effimera di quelle che citavamo.

In realtà le nuove generazioni sono abituate all’immediatezza anche nella comunicazione, l’avere tutto e subito…
Sì certo, ma è anche vero che poi sono straordinariamente disponibili, anche perché poi il teatro ha la sua facilità. Far teatro è paradossalmente più facile che mettersi a scrivere sui media, perché intanto ci vogliono gli strumenti, per il teatro basta il corpo della persona. Quando i ragazzi capisco questo, capiscono che è sempre stata la grande forza e la grande libertà del teatro, capiscono che possono appropriarsi di un mezzo che è il più antico e il più libero della storia dell’uomo, perché non ha bisogno di nulla se non il corpo vivo degli attori.

E arrivando al Teatro a Corte, ho visto tra gli spettacoli anche le danze verticali, dove gli artisti volteggiano in aria appesi alle pareti degli edifici,  quindi alla fine non serve nemmeno un palcoscenico?
No no, assolutamente. Noi facciamo forme non verbali di teatro e li cerchiamo in tutte le latitudini d’Europa. Noi abbiamo una trentina di compagnie che arrivano da tutta Europa, fra cui i paesi più lontani e quest’anno c’è una vetrina tedesca poiché ogni anno dedichiamo un’attenzione particolare ad un Paese europeo e quest’anno è la Germania. Noi cerchiamo di stimolare gli artisti a lavorare in situ, cioè nel luogo, li mettiamo in contatto con questi luoghi  che sono le dimore Sabaude del Piemonte, luoghi meravigliosi, di arte antica e barocca e chiediamo loro di essere molto contemporanei. Ne scaturiscono di solito delle esperienze straordinarie.

Ma prima di qualche anticipazione sugli eventi di quest’anno, le volevo chiedere all’estero come vedono il teatro made in Italy?
Lo vedono bene in generale e vorrebbero vederlo di più. I giornalisti stranieri che vengono al nostro festival sono particolarmente attratti dalle proposte che noi facciamo di cose italiane. Certamente occorre dire che il teatro di parola ovviamente sconta una minorità dell’italiano rispetto alle altre lingue più note, ma è anche vero che piace molto, in certi paesi e soprattutto in Francia, mai anche nei paesi del nord Europa, sentir parlare in italiano. Io per esempio ho fatto uno spettacolo in Polonia - che riprendeva un mio progetto fatto in Francia cinque anni prima  - sul cinema ed è uno spettacolo senza parole, con soltanto delle didascalie.

La interrompo perchè in effetti ho letto di questo film muto in palcoscenico, con attori francesi e italiani; ed ero rimasta colpita dal fatto che nonostante fosse muto ci fossero sia attori italiani che francesi.
Certamente, ma è uno spettacolo che non ha parole. Ovviamente gli attori francesi e italiani si sono capiti fra di loro con i gesti, si chiamava "Cinéma!", ed era un film muto in palcoscenico, poi l’ho ripreso con un’altra storia in Polonia e lì ho lavorato con 5 attori polacchi, anche in quel caso ci siamo capiti a gesti. Come ci insegnano i comici che nel 500/600 sono andati dappertutto in Europa, fino agli estremi della Russia o della Finlandia a portare teatro, il teatro si fa capire benissimo.

E quest’anno c’è qualche spettacolo di rilevanza che vuole anticiparci?
Ah sì, io mi aspettavo questa domanda!

Ed io l’ho lasciata volutamente per ultima!
Ha fatto bene! Perché io ho un omaggio all’Abruzzo. Nel 1986 ero un giovanissimo regista e ho avuto la fortuna di diventare direttore del Teatro Stabile dell’Aquila, e quell’anno la circolare ministeriale che stabiliva quali dovessero essere i criteri dell'attività dei Teatri Stabili, stabiliva che bisognasse fare uno spettacolo e rappresentarlo per 160 giornate nella propria sede istituzionale, cosa che a L'Aquila  è evidentemente impossibile perché uno spettacolo non sta più di 3/4 giorni. Allora pensando come fare mi ero inventato una cosa che ebbe un successo clamoroso, ne parlarono tutti e non soltanto in Italia! Mi ero inventato uno spettacolo a puntate: "I tre moschettieri" durato tutta la stagione ‘86/’87, con i più importanti registi che sono venuti a darmi una mano e si alternavano facendo divertire tutta la popolazione dell’Aquila, dai nonni ai nipoti, e fu una stagione bellissima! A distanza di 30 anni, abbiamo deciso di rifare "I tre moschettieri" con una compagnia di giovani trentenni con cui lavoro da tre anni e tra l'altro anche con alcuni degli attori che 30 anni fa faceva parte del cast. E sono sicuro che all'Abruzzo farà piacere, perchè soprattutto i bambini che venivano a teatro si ricorderanno di questo spettacolo i cui registi si chiamavano Gigi Proietti, Ugo Gregoretti, Mario Missiroli...

E nell’elenco fra questi grandi nomi anche lei, Beppe Navello un grande regista! Ci vedremo teatro!


L'autore

Nadia Macrì

Nadia Macrì, è nata nel 1977 a Zurigo, ma ha vissuto anche in altre città italiane, isole comprese.
Non è chiaro se per vocazione o per bisogno, alterna pittura, radio, canto, web e scrittura all'arte della medicina. Segue con particolare interesse gli artisti emergenti e ama tutto ciò che è alternativo.
Ha all'attivo diverse collaborazioni con emittenti radiofoniche, case discografiche e portali musicali. Collabora con diverse associazioni locali e nazionali per la realizzazione di eventi musicali, ma ama soprattutto comunicare con gli artisti attraverso le sue interviste che conclude sempre con la stessa domanda semi-seria: qual è la nota musicale preferita. Quasi a voler costruire una melodia aggiungendo una nota per volta.
Di se stessa dice: "Ci sono quelli che sanno tenere i piedi per terra. E chi ha sempre la testa fra le nuvole. Nadia è a metà. Tra terra e cielo”.
Cerca
Teatro - Ultime news...
10 mag 2018 | 2107
21 feb 2017 | 2417
29 gen 2017 | 3292
20 gen 2017 | 2365
17 gen 2017 | 2434
7 nov 2016 | 2343
2 mag 2016 | 2675
15 feb 2016 | 2970
1 feb 2016 | 2671
23 gen 2016 | 2593
31 mag 2015 | 2850
23 gen 2015 | 3990

Teatro

Visualizza tutti gli articoli
Fratelli d'Arte Magazine - Testata giornalistica registrata - Reg. Trib. di L'Aquila n. 4/13
Direttore responsabile Silvia Valenti - Contatti: redazione@fratellidartemagazine.it 
© 2013 Fratelli d'Arte Associazione Nazionale - Tutti i diritti sono riservati - Realizzato da oasiWEB