Un modo diverso di descrivere Artefiera, certamente utile per chi nell’arte non vede solo un quadro, una scultura, ma vede un segno che comunica e va comunicato, un’espressione che si evolve così come si è evoluta la comunicazione stessa.
Certo da quando Achille Bonito Oliva ha iniziato a fare il critico d’arte con saggi ed editoriali il linguaggio e i referenti sono cambiati. Oggi i fruitori d’arte sono molteplici, come ha dimostrato Massimo Tonelli, direttore di Artibune, che fa del web il suo cavallo di battaglia. Un tempo chi si interessava d’arte erano in maggioranza intellettuali, un pubblico colto abituato ad andare a cercarsi le opere nei musei o nelle gallerie. Con il passare degli anni tutto è diventato alla portata di tutti, ecco che l’espressione artistica è scesa dal suo piedistallo d’elité per avvicinarsi ad un pubblico più folto anche grazie a questa kermesse. Artefiera non è né un museo, né un supermercato ma realizza un incontro particolare con espositori, artisti e grandi gallerie d’arte e tutti possono godere di questo speciale appuntamento. Nel 1974 nasce Artefiera in un solo capannone espositivo poi si è evoluta diventando la prima fiera italiana e la seconda a livello europeo per importanza per l’arte moderna e contemporanea. Qui l’arte si democratizza in quanto il sito è frequentato dal collezionista che cerca l’opera, anche famosa (Fontana e Burri quotati sui quattro milioni di euro) allo studente dell’accademia che in un colpo solo ha l’occasione di osservare quadri importanti e avanguardie avveniristiche. L’arte moderna e contemporanea è uscita dai musei, dalle gallerie e dalle case dei collezionisti e case d’asta per diventare un patrimonio per tutti.
L’arte e la sua esposizione sono dinamiche, si evolvono seguendo e facendo le mode, è cambiato così in quarant’anni anche il modo di raccontare e descrivere queste tendenze. A noi giornalisti il compito di narrare l’abilità degli artisti. Non è un tema facile, affascinare un pubblico vasto alla scoperta dell’arte e del suo mercato culturale è come riuscire a realizzare trasmissioni televisive sulla cucina che generalmente si basa sui sapori e gli odori che non passeranno mai attraverso lo schermo. Però va fatto e bene perché trasmettere la cultura è importante.
Quarant’anni potrebbero essere pure pochi nel corso di secoli di storia artistica ma sono sufficienti per osservare l’abisso onirico tra Achille Bonito Oliva e Massimo Tonelli. Mentre l’uno poteva soffermarsi a saggi e riflessioni anche provocatorie sull’arte e l’artista, l’altro è costretto in poche battute a carpire l’attenzione sull’artista e la sua arte. Mentre Achille aveva il tempo di considerare ogni parola Massimo deve centrare ogni termine velocemente. Mentre Bonito Oliva si poteva permettere il lusso di avvalersi di iconografia accurata Tonelli deve usare pixel che siano una mediazione tra la buona qualità e la velocità per inserire sulla testata web filmati efficaci ed espressivi. Due modi differenti che comunque sono legati da un unico comune denominatore, esporre e comunicare l’arte. Artefiera quaranta è anche questo, è storia non solo dell’arte in se stessa ma è storia della comunicazione d’arte.
Addentrandosi nei padiglioni, andando a zonzo tra le performances, girovagando tra le cornici ci si accorge però che una cosa rimane immutata nel tempo: gli artisti. Così come quelli che ci hanno lasciato in eredità le loro opere anche gli artisti viventi si struggono e si tormentano emozionandosi. Sembrano non trovare pace, sempre alla continua ed estenuante ricerca di se stessi, scavando dentro al proprio passato o al proprio ego. Tutti si esprimono per liberare e comunicare qualche sentimento: gioia, dolore, amicizia, rabbia o semplicemente nulla. Artefiera in quarant’anni ha fatto bene al collezionista che ha potuto comprare pezzi che gli piacevano, al visitatore comune che ha potuto godere di un immenso bacino di segni e colori, al gallerista che ha potuto coronare i suoi sogni, ma soprattutto agli artisti che hanno potuto giocare con una cosa seria come l’arte.