Giovedì 4 maggio. E' appena iniziato un mese di intenso significato e a Cosenza è appena iniziata la primavera. Squarci di sole caldissimo e brezza leggera che ti sfiora. Palloncini bianchi davanti la porta di una chiesa subito fuori dalla città. Una di quelle chiese moderne, circolari, con un pavimento obliquo, quasi a far comprendere che non è semplice restare in equilibrio, neanche quando pensiamo di essere talmente abili da non cadere mai. C’è un estremo saluto da dare. Roberto Adriano ha spiccato il volo. Roberto era un artista, immenso. Troppo riduttivo definirlo cantante. Lui suonava, intratteneva, cantava, ballava. Benissimo. Lo so perché me lo hanno detto. Lo so perché ho visto alcuni filmati delle sue performance. Lo so perché al suo funerale c'erano tanti artisti, tutti profondamente commossi. Massimo Cardamone, Daniele Moraca, Antonello Armieri, Antonio De Rose, Pippo Tocci. Amici fraterni di microfoni e di preghiere. Perché la musica e la conformità alla volontà di Dio hanno orientato tutta la sua vita. E così per una vita intera, per una giovane vita intera. Fino che la voce si è riempita di silenzi, d'altro “canto” ci sono parole che non trovi nei vocabolari, sono quelle che fanno parte del dizionario dell’anima.
Leggo che in molti lo chiamano guerriero, sembrerebbe un paradosso ora che ha perso la lunga battaglia con la malattia. Ha combattuto e non ha vinto. Ma la vita non è una partita che bisogna vincere costi quel che costi, la vita è un mistero, è un misterioso incontro e perdi quando sei invincibile o presunto tale e vinci invece quando sei debole, quando sei fragile. Quando non riconosci più gli amici che ti vengono a trovare hai già vinto, perché hai edificato una devota amicizia, roba impagabile, tesoro inestimabile. Non serve a niente saper riconoscere gli altri, avere dieci diottrie, riflessi pronti e una memoria di ferro, ma non avere nessun volto da identificare perché nessuno ti cerca. Un po’ come Alarico e quel tesoro più grande del mondo nascosto fra leggenda e fiumi.
Provo ad avvicinarmi alla bara, ma non ci riesco. C’è troppa gente e ciascuno di loro ha più diritto di me a stare vicino a Roberto per un ultimo saluto. Non riesco a salutarlo, e forse perché non sarebbe un addio il mio, gli incontri che ci segnano non sono mai un addio. E le persone che ci segnano sono eterne. Incrocio lo sguardo di chi mi vuole bene e comprendo di non sbagliarmi. Le persone che ci segnano sono veramente eterne. Vive o morte, sono eterne.
Grazie Roberto per il tua musica che ieri suonava con ritmo latino fra lacrime e ricordi. “Vi riconosceranno da come vi amerete” e tu Roby ti sei fatto riconoscere.
Ora più che cantare col coro degli angeli, fatti una partitella a pallone, c’è anche Ilario in porta. Facci capire che c’è un campionato lassù, perché la vita eterna va conquistata sul campo. E chi “trova il senso della vita” quaggiù poi continua anche in cielo a giocarsi la vita, avendola già vinta. Volare oh oh cantare oh oh oh oh.
Photo Giuseppe Cavaliere