Un libro di storia ma non solo. Tanti i racconti dei retroscena della politica e gli aneddoti personali di Feltri nella sua carriera di giornalista: tra interviste, fatti curiosi, ritratti di personaggi che hanno fatto la storia d'Italia negli ultimi 60 anni. Il libro "Una Repubblica senza Patria", edito da Mondadori e scritto a quattro mani con Gennaro Sangiuliano, è anche occasione di riflessione sui contrasti interni di un Paese relativamente giovane e che non ha ancora trovato una vera unità, tra campanilismi e divisioni culturali e politiche.
Direttore perché siamo “Una Repubblica senza Patria”?
Lo vediamo tutti i giorni, la Repubblica c’è, formalmente funziona persino. In realtà siamo un paese diviso, c’è il nord e c’è il sud che sono in costante polemica. C’è stato il fascismo e l’antifascismo, il capitalismo e l’anticapitalismo, il comunismo e l’anticomunismo… In sostanza noi siamo sempre divisi. Chi sceglie un partito e vota per un partito, lo fa con un’animosità e una visceralità tali, come se si trattasse di professare una religione. E questa credo che sia una prerogativa tipicamente italiana. Siamo un Paese che ha 150 anni di vita, ma non ha mai trovato né pace né coesione. L’unico elemento di unità nazionale sono i jeans… mi sembra un po’ poco.
L’Italia potrebbe imparare da Paesi relativamente più giovani, per esempio gli Stati Uniti?
Gli Stati Uniti si sa come si sono formati: il Paese era nuovo in tutti i sensi. Noi invece eravamo già italiani ai tempi dell’Impero Romano. Questo ci impedisce di trovare quella serenità necessaria per voltare pagina.
Una matrice che caratterizza l’Italia è quella della divisione, non solo politica, ma anche territoriale e culturale. C’è una cultura diversa tra nord e sud, tra regione e regione, tra città e città?
Certo. Anche la lingua è la dimostrazione. Abbiamo l’italiano, ma è da pochi anni la lingua comune, da quando la televisione ha un po’ alzato il tasso linguistico e ha uniformato il lessico. Cent’anni fa un bergamasco che fosse andato a Siracusa non so se sarebbe stato in grado di capire quello che gli dicevano e viceversa. Io stesso quando ero bambino e la gente parlava in bergamasco non capivo.
Partendo dall’analisi di questi 60 anni di Repubblica, che cosa ci aspetta per il futuro?
Non sono Nostradamus, ma posso dire che le cose non andranno bene. Basta osservare la realtà che è in continuo deterioramento, e questo non può incoraggiare nessun tipo di ottimismo. Mi auguro di sbagliare.