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Le corde di Vince Pastano per Luca Carboni e Vasco

Il rapporto con la chitarra lo devo a mio padre che mi ripeteva sempre: “Senti questa chitarra”!

di Loredana Lanzoni - 14 agosto 2015
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Vince Pastano è un chitarrista, compositore, arrangiatore e produttore discografico. E’ il chitarrista di Luca Carboni e da due anni è entrato a far parte della band di Vasco Rossi, sempre in qualità di chitarrista, ma è anche un produttore artistico e nel 2012 ha fondato l'etichetta discografica Liquido Records. Ho avuto il piacere di poterlo intervistare, non la definirei una vera e propria intervista, ma una chiacchierata con un grande artista appassionato e innamorato della musica. Ha parlato della sua carriera, della sua visione musicale e sonora e di come prova, e a mio parere riesce, attraverso il suo sound, a trasmettere emozioni in chi lo ascolta.

Da bambino: “Già a 6 anni conoscevo The Final Cut dei Pink Floyd a memoria”...
Ho avuto la fortuna di avere un padre che ha sempre amato la musica, la chitarra, i dischi “chitarristici”. I dischi che ascoltava, e mi faceva ascoltare, erano quelli  dei Pink Floyd, Led Zeppelin, i Dire Straits,  di conseguenza la mia cultura musicale è nata direttamente con quei dischi. La musica per me era quella, non esisteva la musica da radio. Io già a 6 anni conoscevo The Final Cut dei Pink Floyd a memoria,  è uno dei miei dischi preferiti tutt’ora. Quando è uscito “The Wall”, il film di Alan Parker, in quel periodo credo di aver avuto circa 4 anni, mio padre mi portò al cinema a vederlo. E’ stato un trauma pazzesco perché ci sono delle scene di violenza inaudita, crani spaccati, scene forti per un bimbo di quattro anni,  però mi ha lasciato il segno. La musica che mi faceva ascoltare era quella.

La chitarra: “A furia di vedere le VHS dei concerti storici mi ero convinto che anche io ci sarei arrivato prima o poi”...
Fondamentalmente, il rapporto con la chitarra lo devo a mio padre che mi ripeteva sempre: “Senti questa chitarra”! Io all’inizio non capivo. Lui è un ex chitarrista e aveva questa chitarra acustica appesa al chiodo, nel vero senso della parola, era appesa in una parete in casa. Io la guardavo e gli chiedevo di farmela toccare, ma la risposta era:  “No, sei piccolo” e dopo un po’, a furia di dirti no, e si sa, più ti dicono no e più ti viene la voglia di farlo, a nove anni ho lasciato il mini basket,  una carriera sportiva che avevo iniziato già da quattro anni, troncata a favore della musica. Comunque già da piccolo ero “una roba”! A sei anni mi costruivo la batteria finta, il basso finto, suonavo sui dischi, mi “intrippavo”  con la voce, mi costruivo l’asta e cantavo sui dischi, ma ero convinto di quello che facevo, entravo nel ruolo! I miei giochi erano quelli.  A furia di vedere le VHS dei concerti storici mi ero convinto che anche io ci sarei arrivato prima o poi.

La collaborazione con Luca Carboni:Ho trovato nei suoi brani affinità caratteriali, affinità con il mio umore molto malinconico”...
La collaborazione con Luca Carboni è nata nel 2004 e la devo a Mauro Patelli. Mi sono trasferito a Bologna nel 2002-2003, avevo 23-24 anni. In quel periodo ero stato chiamato per organizzare i concerti di una famosa rassegna bolognese che si chiamava Made in BO, ora non esiste più. Volevano chiamare tre band, ma non c’erano i soldi per farlo. Così ci inventammo un modo, feci tutto io, con il cambio d’abito si fa tutto. Organizzammo 3 tributi: a Elvis Presley,  ai The Beatles e a Jimi Hendrix cercando di dare una sorta di continuità all’evoluzione del Rock n’Roll. Fu proprio in quella rassegna che conobbi Mauro. Era proprio sotto al palco ad ascoltare e a fine concerto venne dietro nei camerini a farmi i complimenti. Lo riconobbi  subito, era il chitarrista di Carboni. “Trippato” com’ero guardavo già Dj Television, tutti quei programmi di musica, di conseguenza lo avevo già visto nei video di Carboni. Per me fu una grande emozione: il chitarrista di Luca Carboni che viene a congratularsi con me! Da quell’incontro è nata una collaborazione, durante i tributi a Jimi Hendrix lo invitavo sul palco, ci alternavamo, era diventata una bella famiglia.  In seguito mi raccontò che di solito non usciva mai, ma quella sera d’estate faceva caldo e gli era venuta voglia di uscire e poi un tributo ad Hendrix lo andava a vedere volentieri. Io non suonavo ancora con Luca, così una volta Mauro mi disse “Se un giorno dovesse capitare l’occasione ti chiamo” ed è stato di parola, l’occasione è capitata! Quando mi diede la notizia che dovevo partire in tour con Luca Carboni ero in un super market, stavo facendo la spesa,  non è che mi potevo mettere ad urlare,  ero lì imbarazzato. Dissi solo "Ok" ero talmente emozionato che sono imploso. Mi disse che non mi sentiva entusiasta, ma avevo gente a fianco e non sapevo veramente come prenderla. Da lì è partita la mia avventura con Carboni. Lo ammetto nel 2004 a parte quei 4-5 singoli non conoscevo molto di Luca, poi mi sono innamorato, ho trovato in lui, nei suoi brani affinità caratteriali, affinità con il mio umore molto malinconico. Io mi sono innamorato della sua poetica, ci sono brani tipo Gli autobus di notte che mi emozionano ancora.

In tour con Vasco:Non capivo che bisogno c’era di me, del mio apporto"...
Nel 2014 ho iniziato il tour con Vasco Rossi, ma in realtà abbiamo iniziato a collaborare già nel 2013. Guido Elmi mi ha chiamato, come collaboratore esterno, per fare una pre-produzione del live. Componemmo assieme l’intro e l’interludio del concerto, la parte centrale dedicata ai musicisti. Arrangiammo insieme il medley rock che si fa quasi a metà concerto, quel quarto d’ora di super hit. Fu in quell’occasione che conobbi Vasco, in studio però. Tremavo, non mi pareva vero ero già felice così. Per me era già un’enorme soddisfazione, non mi aspettavo certo di proseguire con l’avventura. Quell’anno, nel 2013, andai a vedere i concerti e sinceramente c’era un buon sound infatti pensai tra me e me: “non c’è bisogno del mio apporto, non ne capisco la necessità”. Chiaramente l’ho capito dopo. In quel contesto c’è la figura del produttore artistico, Guido, e io non posso e non riesco ad infilarmi nei pensieri artistici di un produttore così famoso e con un feeling così alto con la musica, quindi, non potendo essere nei suoi pensieri e vedendo lo spettacolo, non capivo che bisogno c’era di me, del mio apporto. In seguito ho capito cosa voleva apportare di diverso, non in più, di diverso, si è cercato di fare qualcosa di diverso. E’ chiaro che, come ogni cosa diversa,  c’è chi apprezza e che dice “finalmente un qualcosa di nuovo”, soprattutto perché un artista così longevo nella carriera ogni tanto deve fare un cambiamento, e chi non apprezza. Io non penso che si sia stravolto nulla, penso sia qualcosa di diverso.

L’etichetta discografica Liquido Records: “Quando vedi qualcosa che ti emoziona, abbandonarla sarebbe un peccato. Lo facciamo per amore della musica”...
Io, insieme ad Ignazio Orlando il bassista di Luca, Antonello D’Urso che mi sostituisce con Luca, ha suonato con Branduardi ed ora suona con Alice e Max Messina il batterista, ho una piccola etichetta indipendente, si chiama: Liquido Records. Fondamentalmente, per farla proprio breve, è la nostra valvola di sfogo, in quanto noi siamo dei sognatori. Non abbiamo mai guadagnato nulla da questa etichetta nel senso che tutte le persone che abbiamo prodotto sono persone che abbiamo sempre stimano prima di tutto artisticamente  e che sono diventate amici veri. Ti racconto cosa è successo con la prima produzione di Nicoletta Noè. Il batterista l’ha vista in apertura del concerto di Roberto Angelucci, un romano del giro indipendente, il giro di Gazzè, Nicolò Fabi. Lei apriva il suo concerto e Max ne è rimasto folgorato! Quando ho ascoltato quei pezzi ho capito, ne sono rimasto folgorato anche io. Ero convinto che dei brani così non potevano che essere già prodotti e invece non era così. Ho pensato: “Fermati, non produrre questi pezzi sarebbe proprio una bestemmia, ma alla musica prima che a lei”. E così è stato anche con le altre produzioni, quando vedi qualcosa che ti emoziona, abbandonarla sarebbe un peccato. Lo facciamo per amore della musica. Quello che facciamo è semplice: produciamo. Significa arrangiamo i dischi, glieli suoniamo, glieli stampiamo, cerchiamo di dargli una piccola opportunità, minima perché è piccola l’etichetta e perché i fondi sono i nostri, delle nostre tasche, ma cerchiamo di dargli almeno la chance di partire con un titolo e con un prodotto. Ammetto che facciamo fatica a seguirli tutti nei live, sono tanti e noi siamo sempre in giro. Sicuramente li seguiamo discograficamente e successivamente vengono seguiti durante le prime presentazioni affinché abbiano dal vivo lo stesso sound del disco, poi man mano lasciamo che se la cavino da soli, ed è giusto così perché con noi fare affidamento in questo momento è difficile. Comunque speriamo di dargli una buona opportunità, o almeno è quello in cui crediamo. La nostra filosofia è fare più concerti possibile e vendere più dischi possibile per recuperare almeno i soldi delle stampe affinché si possa ristampare lo stesso disco o aiutare un futuro artista o l’artista stesso in un secondo lavoro. Noi non ci guadagniamo, ma anche i ragazzi che produciamo si fanno un gran “mazzo” perché, in quanto indipendenti, si devono cercare un piccolo ufficio stampa che comunque gli chiede dei soldi e si autoproducono un video clip. Noi gli diamo una mano discograficamente così hanno già risparmiato il 50% delle risorse finanziarie e non solo, anche perché non devono ricercarsi i musicisti. In questo modo hanno un disco, un piccolo ufficio stampa e un video clip dunque un buon modo per partire, penso sia una buona opportunità.

La musica e il suono:  “Noi viviamo di mille sfumature caratteriali, noi stessi durante tutta la giornata abbiamo mille sfumature, la musica ti dà l’opportunità di accompagnarle tutte”...
Io sono un minestrone di ciò che ho sempre ascoltato, di tante “robe” che ho ascoltato nella mia vita e che ascolto ancora oggi, e ne ascolto tantissime. Negli ultimi anni chitarristicamente mi sento proiettato all’aspetto sonico. Per me l’aspetto sonico è paragonabile allo spazio, a qualcosa di infinito, è dare al suono, alle melodie un’apertura, un suono lungo qualcosa in cui chiudi gli occhi e immagini lo spazio infinito. Non “tin”, a me piace sentire “tiiiiiiiin”. Mi piacciono le produzioni di David Bowie un artista un po’ alieno, le produzioni di Daniel Lanois, le produzioni di tutti quegli artisti che usano il suono, non la chitarra, il suono in generale come qualcosa di eclettico, artisti che non prendono un qualcosa, lo definiscono e lo rendono chiuso, ma artisti di cui ogni disco è composto da mille sfumature, è multiforme. Anche a me piace essere multiforme. In generale alla gente, ed anche ai musicisti, piace essere rappresentati, è un’abitudine che abbiamo fin da piccoli, avere un partito politico, andare in chiesa, in un qualche modo essere rappresentati, siamo rappresentati da quando siamo nati, invece io penso che la musica debba essere una cosa libera da tutto questo. Noi viviamo di mille sfumature caratteriali, noi stessi durante tutta la giornata abbiamo mille sfumature, la musica ti dà l’opportunità di accompagnarle tutte, ci sono talmente tanti stili e sotto stili che per ogni momento della tua giornata, ma anche all’interno di una stessa ora potresti ascoltare brani che diventano colonna sonora di quel momento. La gente invece purtroppo non è pronta. Lo vedo, perché molti dicono “no, io sono rock”, “io sono classico”, “io sono jazz” che poi cosa vuol dire? La musica deve essere come il nostro stato d’animo, deve cambiare sempre. Io cerco sempre di fare meno cose possibili, sono un fan del minimalismo,  cercando di caratterizzare un brano, questa è la mia ambizione e non è detto che ci riesca sempre. Se all’interno di un brano senti un suono strano, quello vorrei essere io, quel suono strano perché il suono strano te lo ricordi. Spesso appena si presenta il momento giusto, perché bisogna contestualizzare sempre, se riesco infilo qualcosa che è nel mio pensiero, quel qualcosa che allarga i confini di quel brano a livello di spazialità di suono.


Galleria fotografica a cura di Andrea Brusa.


L'autore

Loredana Lanzoni

Nasce a S. Benedetto Val di Sambro (BO) nel 1972. Nel 2011 consegue la Laurea Magistrale in Economia e Management delle Imprese Cooperative e delle ONP.
Ha sempre lavorato in ambito amministrativo-contabile ma fin da piccola nutre la passione per lettura e la scrittura. Le piace ascoltare musica soprattutto italiana.
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