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Poesia dell'artificio

Un artificio che si delinea nell'atto dello scrivere.

di Enrico Ratti - 19 agosto 2013
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L'eco di un'immagine, il vuoto di una scena, l'abbaglio di un colore: il colore della voce. Colore della voce che è condizione del silenzio. Sia gli antichi che i moderni notano che la poesia esige l'ascolto. Ma solo ciò che viene dal silenzio si ascolta e s'intende, quindi si comunica in una scrittura dell'artificio. Un artificio che si delinea e si compie nell'atto dello scrivere. Un artificio che si delinea e si compie in una scrittura dove una serie di metafore, metonimie e catacresi disegnano un sogno in un racconto mai udito prima, perché esente da qualsiasi rappresentazione naturalistica. La poesia è dunque inconscia come la cultura. Parlo, qui, di una poesia che risente di un ascolto e che procede da una funzione intellettuale contraddittoria perché esposta al lavoro del due e dell'inconciliabile. Funzione intellettuale esente da sostanza e che non rientra in quella sfera dell'ideologia, di quella credenza, di quella superstizione che si
identificano e si configurano nella rappresentabilità dell'oggetto: nella sua conoscenza. Infatti se il punto di astrazione e il punto di oblio da cui procede la poesia non sono rappresentabili, l'ideologia naturalista, quella che si basa sulla visione delle cose e del mondo, cade. E allora ecco il colore della voce e della controvoce, ecco lo spirito che trascina l'ascolto verso un punto di identificazione o mimesi, che sconvolge e sgomenta adiacente com'è alla stranianza, all'impertinenza e all'altrove. Lungo l'identificazione di questo punto triale e singolare, si dipana quel pellegrinaggio in terra straniera dove la natura è artificio, è natura dell'artificio, è natura di quel dispositivo artificiale dove i miracoli linguistici, l'ingegneria linguistica e il fare, si chiamano poesia.
Il poeta è quindi colui che disputa e gareggia con la natura perché inventa artifici linguistici, anzi emula la natura in artificio fino ad aggiungere artificio ad artificio. Sicché ciascun dispositivo di poesia è dispositivo di artificio, dispositivo artificiale utile alla società, all'impresa e alla bottega dell'artista. La natura quindi. Senza nulla condividere con il naturalismo. Infatti nella poesia si tratta di udire l'artificio della natura. Di udire, man mano, l'artificio che il poeta, nel corso della sua opera, introduce. E' del tutto evidente, quindi, che la natura, oggetto caduco e mai in perdita o assente, evocata dal poeta è una similitudine di vita che si rivolge alla qualità linguistica. Sicché la natura di cui si tratta nella poesia è sempre la natura della parola. E suo rinascimento. In definitiva è proprio il rinascimento della parola a stabilire che non c'è più naturalismo e che l'artificio è essenziale perché non ha
nulla di negativo. Ecco, la poesia non è ciò che significa, (la poesia strutturalmente non ha una corrispondenza biunivoca con la realtà), ma è ciò che si scrive e si qualifica, ciò che diviene qualità e valore linguistico lungo un cammino inedito e inventivo.


L'autore

Enrico Ratti

Enrico Ratti è nato a Mantova nel 1952, vive e lavora tra Mantova e Milano, è disegnatore, pittore, illustratore, scrittore e giornalista. Si forma nella Bologna intellettualmente molto vivace degli anni settanta e si laurea al Dams con una tesi sull'opera di Cesare Zavattini. Da allora l'unico interesse è per l'arte e la cultura. Diverse le mostre allestite, in Italia e all'estero. Come giornalista, dal 2000, incontra e intervista artisti, scrittori, intellettuali e dissidenti di tutto il pianeta.
Nel 2002 pubblica il romanzo "Delinquenti nati". Nel 2007 il poemetto "Canti di Cipada" e nel 2008 il libro di disegni "Manuale intellettuale". Nel 2010 pubblica "Manifesto per l'Europa". Un libro che ha suscitato commenti, interventi e scritti da parte delle maggiori personalità politiche e economiche d'Europa. Nel 2005 vince il premio letterario "Laurence Olivier e Vivien Leight".
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