Il Soffio è il disco d'esordio della rock band Kantiere Kairòs pubblicato il 5 aprile del 2015, disponibile in digital download e su tutte le piattaforme streaming da ottobre 2015.
Avrei iniziato così una classica recensione, ma stavolta sono difronte ad un album che conosco molto bene, e che non ho osato recensire prima, perché sono molto coinvolta con la band. Un aneddoto di questi giorni, mi porta però a scrivere di questo album nella sezione del Magazine in cui presentiamo ai lettori di Fratelli d’Arte i lavori discografici che ci hanno affascinato, esaminando le atmosfere che i pezzi creano, rapportandole ad altre forme artistiche con una sorta del gioco “se fosse”... sicuri che la musica è!
La notizia curiosa si riferisce ad un noto sito musicale italiano che dà la possibilità agli artisti di caricare la propria musica e di richiedere la recensione. Chiedendo la recensione potrai ritrovarti anche davanti ad un articolo che racconta l’album con un giudizio negativo, e una finestra che compare prima dell’invio te lo ricorda bene! Così la band, accettando questo rischio, ha caricato l’album e dopo qualche tempo è arrivata la conferma e anche il nome di chi avrebbe recensito nell’arco di quattro mesi. Trascorrono i 4 mesi e arriva un messaggio che dice: Ci spiace, questo album non verrà recensito. Né bene, né male. Eppure il noto sito musicale non ha problemi ad essere spietato con alcuni artisti, quindi perché dopo la conferma di recensione, dopo l’assegnazione ad un critico musicale, hanno fatto un passo indietro? Una risposta me la sono data. E’ Christian Music! Rock, pop, cantautorale, ma Christian Music. E i famosi critici musicali capaci di trovare le parole esatte per raccontare ogni genere di musica, gettano la spugna ascoltando un disco che parla di fede.
Io penso che non bisogna per forza credere in Dio, per scrivere di un disco di Christian Music, ciascuno di noi si è trovato nella circostanza di raccontare un qualcosa che non ci appartienga, e penso anche che se perfino la televisione pubblica faccia accomodare sulle poltrone bianche il figlio del capo dei mafiosi, promuovendo un libro che racconta una storia che non ci interessa, perché abbiamo ancora ben impresse nella mente le stragi che la mafia ha procurato, ecco allora, pur di sembrare un po’ troppo di parte o autoreferenziale, lo racconto io l’album che con la band ci lavoro.
Artista: Kantiere Kairòs. Gabriele Di Nardo (batteria e percussioni), Roberto Sasso (tastiere), Davide Capitano (basso), Giuseppe Di Nardo (chitarre) e Antonello Armieri (voce e chitarra acustica). Musicisti, ma ancor prima uomini in cammino, capaci di scegliere la strada in salita, quella sterrata. Siamo un popolo abituato al successo temporaneo dei talent, alle ragazzine strappa capelli in fila per un autografo, alle classifiche di iTunes, magari comprate, ma pur sempre affascinanti, al susseguirsi di dischi di platino di cantanti che faranno gli opinionisti da grandi oppure futuri protagonisti di quelle terribili scenette dell’Isola dei famosi, eppure ci sono ancora artisti che scelgono la musica come espressione di un messaggio. Come strumento, non come fine. Se fosse un oggetto sarebbe una vecchia antenna che posizionandola bene in alto, sui tetti, ci permetteva di vedere la tv.
Titolo: Il Soffio. Ero a Sanremo e intervistando un artista, che fra i brani del suo cd ne ha uno che si intitola proprio Kairòs, iniziai a parlargli di questa band. Lui mi disse una cosa che meglio di qualunque mia parola spiega questo titolo. Disse: «Io non credo molto alla vita oltre la morte, io non ho fede, però credo in Dio creatore, perché se non sappiamo cosa ci sarà dopo, sappiamo però quello che c’è stato prima. Per forza Qualcuno ha dovuto soffiare per creare il mondo». Se fosse una sensazione sarebbe quella che provoca l’attesa, in quel tempo che va dal soffio allo scoppio del palloncino.
Copertina. A riflettere sul “tempo giusto” per questo incontro con Dio è anche la scelta dell’immagine di copertina: un orologio, le cui lancette segnando le due e trentatré minuti, formano una Croce. E’ il tempo giusto, il momento è ora, non c’è tempo da perdere; ma è il momento giusto perché Dio attende sempre ciascuno di noi, in quell’arco di tempo che va da mezzogiorno fino alle tre di pomeriggio. Se fosse un santo dei nostri giorni sarebbe don Tonino Bello, grande vescovo di Molfetta che con il libro che raccoglie diverse sue omelie Il parcheggio del calvario spiega questa collocazione di tempo e di croce.
Ospiti: Fil Mama e Rosa Martirano. Donne calabresi. Eccellenze.
Provo a raccontarvelo traccia per traccia, sapendo che la musica che scelgo è quella che alla fine racconta anche me, meglio di un vecchio diario segreto...
Mio Re. «Sei lì a braccia aperte lì mi attendi». Apre l’album un brano dalle sonorità ricercate, piene di ritmo quasi tribale fra tasti e corde. Inizia con la voce calda, con l’orologio fermo alle 2 e 33 del pomeriggio, col buio della notte. Ci porta alla centralità del Vangelo, al nostro Re, che ama ogni uomo in ogni tempo. Ci immerge nel mondo con la consapevolezza che Lui ci attende a braccia aperte, con l’Amore orizzontale della Croce e quello verticale del trono divino che si innalza abbassandosi. Se fosse un film sarebbe Il discorso del Re. Spesso ci sentiamo di essere Dio, di non aver bisogno di nessuno, e diventiamo come Re, ma un Re che ha bisogno di un logopedista, di qualcuno che ci insegni come parlare in pubblico senza balbettare.
La Tua volontà. «Ho un vuoto che non so riempire solamente raggirare, raggirando il cuore in me che per paura del dolore ostenta il mio volere invece di ascoltare Te». Brano scelto come primo singolo per raccontare questo nuovo progetto e con cui la band ha portato in diverse radio la Christian Music con la forza di un messaggio che si convoglia nella capacità di affidarsi al Padre. È un inno al coraggio. La vita nel cuore e nella mente può tutto. Persino l’impossibile. L’importante è convincersene e credere di potercela fare, sempre. Se fosse un posto, sarebbe il cielo. Quel cielo che è sopra di noi sempre e a volte lo tocchiamo perfino con un dito, altre volte stiamo anche 3 metri sopra, altre ancora ci fa paura.
Liberami (feat. Fil Mama). «Rendimi vivo come non sono stato mai, rendimi vero come non sono stato mai». L’essenza della voce si può apprezzare a pieno in questo brano che vede anche un energico featuring: il timbro graffiante di Fil Mama con le sue mille tonalità nere che si mescolano con la musica in cui ogni strumento sembra rispondere esattamente alle sfumature della sua interpretazione. Un brano pop dalle venature soul che diventa un inno che risente delle atmosfere tipiche della musica che invoca lo Spirito Santo. Se fosse un colore sarebbe l’arancione. Un colore vivace, che stuzzica il letargo di un mondo incatenato.
Galilea. «Ti vedo già, mio Signore non sai quanto sei mancato alla mia vita». Un crescendo di suoni e un ritmo incalzante raccontano la gioia della Pasqua, nel brano che è stato il quarto singolo del cd. È canto di gioia, di sorpresa, il tutto sottolineato dalle tante note di una graffiante chitarra elettrica per giungere alla liberazione finale di canto corale. Ecco se fosse una voce di un coro sarebbe quella dei contralti di un coro polifonico a 4 voci. Quelli che hanno le parti più difficili e sono i meno apprezzati dal pubblico perché coperti dall’euforia degli acuti dei soprani, eppure senza di loro molti brani non risulterebbero così belli. Ma lo scopri solo dopo, quando i contralti non ci sono.
Stella. «Bella più di un fiore è musica la Tua voce, preziosa la Tua veste, ci protegge». L’esigenza di uno slancio missionario, a seguito di un pellegrinaggio in un santuario mariano, ha dato vita a questa traccia (secondo singolo dell’album) che diventa una dolcissima dichiarazione d’Amore e nello stesso tempo una ninna nanna che ti culla e ti sprona in un trionfo di musica. Se fosse un quadro sarebbe la Madonna della Seggiola di Raffaello. L'opera mostra Maria col Bambino stretto in un tenero abbraccio. Lei china il capo verso il figlio, facendo toccare le due teste, e creando una situazione di intima dolcezza familiare. Sì, Lei ci prende per mano, ci accarezza e ci educa quando la combiniamo grossa: è la nostra Mamma!
Cemento armato. «Fai il pieno di legami che assomigliano ai contorni, di una cena consumata in un fast-food». Brano che si spinge verso un rock più definito. Un dettagliato decalogo per ritrovare la pace interiore, quando con le trasformazioni spesso vorticose e il pericolo di subire il turbine degli eventi, si preferisce il rifugio in un porto sicuro perdendo il coraggio di cercare la rotta. Se fosse un social network sarebbe certamente Facebook. Uno di quei profili con 4000 amici e nessuno con cui prendere un caffè, e forse serve la consapevolezza della solitudine per cambiare vita e non solo la foto del profilo.
Il Soffio. «Unisci le mani, unisci la mente al cuore, chiudi gli occhi e ascolta». La dimensione spirituale non potrebbe essere meglio interpretata che da questa traccia che dà il titolo al disco, filo conduttore per tutte le canzoni presenti nell’album. La sua intensità è completamente sussurrata, silenziosa. Echi. La voce che aleggia a cappella come quella di Dio fra le corde tese, anche della nostra vita. Se fosse una candela sarebbe quella su una torta di compleanno, il mio!
Dignitosa. «Sei Madre del mio Salvatore. Madre che sfuggi al rumore. Madre che parli nell’intimo del cuore. Sei Madre dolcissima sposa». Questa canzone racconta, attraverso un testo raffinato, l’amore di Maria, Madre tenerissima, accanto al Signore nell’ora della Passione. Una ballata pop carica e dolce, colma di gioia e insieme di dolore, che ripercorre il silenzio operoso di Maria che ha trasformato il sabato della delusione nell’alba della risurrezione. Se fosse una parola sarebbe l’affermativo Sì. Dal Sì di Maria, ogni sì ha un valore aggiunto, anche il sì di una sposa. Dolcissima.
Cuore Sacro. «Un cuore che batte è un cuore che tutto può». Terzo singolo estratto dal sound fresco che miscela il rock al pop internazionale, in cui musica e parole si intrecciano in un abbraccio di ritmi e battiti. Un brano che è un promemoria d’amore, è presa di coscienza della propria ricchezza umana, è lode a tutta la creazione di Dio, in cui ritroviamo la povertà francescana che va all’essenziale delle cose. È l’urlo gioioso del vivere con un inciso assolutamente unico. Se fosse una data sarebbe il 14 febbraio. Il giorno in cui si festeggiano i cuori che battono, poco importa per chi. L’importante è amare, sapendo di essere sempre e comunque noi amati da Dio.
Io confesso. «Mi piacerebbe fosse normale dire ad ognuno ti voglio bene, senza imbarazzo senza sospetto magari incominciando qui adesso». Un brano in cui Antonello Armieri, autore di tutti i testi dell’album, in una dimensione acustica e onirica, riesce a raccontarsi e a raccontare il sogno di poter recuperare rapporti, momenti, abbracci. La comprensione dei propri errori è accompagnata poi da potenti chitarre che segnano la grinta della confessione, ricambiata dalla dolcezza e misericordia dello sguardo di Dio sull’uomo. Se fosse un giubileo non potrebbe che essere quello della misericordia che stiamo vivendo.
Il pozzo. «Ti mostrerà come crederci ancora. Ti mostrerà un’alternativa. Ti mostrerà che non c’è mai fine alla voglia di tornare a vivere». Questa è la traccia della svolta sperimentale, con tocchi di elettronica che ci introducono in un brano dedicato a chi deve ricominciare dopo un periodo difficile. Un loop che diventa liberazione, dopo il tempo trascorso senza saper reagire. Lui non tradisce le nostre attese. Lui ascolta i nostri assoli e non delude. Se fosse una materia scolastica sarebbe la geografia che ci permette di esplorare territori e culture, portandoci in lunghi viaggi fra le pagine di un libro. Certe volte per arrivare dove vorremmo vivere, basta girare pagina.
Toccami il cuore. «Diventi cura mia dolcissima d’amore». Una vocalità decisa sostiene una melodia morbida e trasognante che porta alla luce l’intimità dei pensieri e delle prove che la vita ci riserva. Una supplica che si fa dialogo. Una richiesta che diventa promessa. Una preghiera che ti commuove e ti coinvolge. Un movimento di brividi, fra note altissime che tendono verso l’eterno. L’onda dell’Amore, quell’Amore forte in tutte le sue forme. Se fosse un paese sarebbe Paravati, quello di Natuzza. Un piccolo borgo che tocca tanti cuori. Un anticipo di Paradiso fra le colline della Calabria. Lo sa bene chi arriva in quel giardino verde, lo sa bene anche quando torna a sbagliare.
Grazie. «Grazie infinitamente grazie». Un’armonia vocale che si mescola con la consapevolezza dei propri errori ripercorre come un diario pagine di vita vissuta, male. La musica con un arrangiamento particolarissimo in un crescendo di strumenti ed effetti innovativi per un brano audace, che evidenzia anche una grande forza interpretativa. Se fosse uno sport, sarebbe uno di squadra. Perché per perdonare, ringraziare, amare non si può essere da soli a gareggiare la partita della vita.
In ogni volto (feat. Rosa Martirano). «E sarebbe pace in ogni dove, solo amore». Chiude il lavoro discografico del Kantiere Kairòs il brano più corto dell’intero album. L’eleganza e la precisione della carica voce di Rosa Martirano entrano in questa traccia in un’intesa delicata e una melodia accarezzata dalle parole del Vangelo. Una perla che interrompendosi riporta la mente a quel “andate in pace”. È ora il momento giusto per andare, per fare, per uscire. È il momento favorevole per andare oltre, verso l'altro. Verso l’alto. Una Chiesa “en salida”. Se fosse un popolo sarebbe quello in coda tra il filo spinato. E la foto che ci arriva oggi purtroppo non è in bianco e nero.
Tracklist:
1. Mio Re
2. La Tua volontà
3. Liberami (feat. Fil Mama)
4. Galilea
5. Stella
6. Cemento armato
7. Il Soffio
8. Dignitosa
9. Cuore Sacro
10. Io confesso
11. Il pozzo
12. Toccami il cuore
13. Grazie
14. In ogni volto (feat. Rosa Martirano)
Pubblicazione: Aprile 2015. Esattamente un anno fa, ma è musica senza tempo.
Label: Autoprodotto. Certo, se anche i siti musicali nazionali hanno difficoltà a scrivere di Christian Music, figuriamoci se le etichette scommettono su questo genere… e qui ci sta, con velata ironia, un “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”!
... e se fosse un disco? È Il Soffio a darci la spinta. Play.