Due modi diversi di concepire la parola e associarla alla musica, due stili diversi, ma molto personali che parlano per immagini e sensazioni.
In questo Ascolto vi facciamo conoscere Raffaele Vasquez cantautore pugliese e i Laica, un duo formato da Annaclara Maffucci e Gabriele Aprile.
L’album di Vaquez, Me ha come protagonista la figura femminile, la donna descritta in modo inusuale, spogliata di tutte le convenzioni, con la quale l'autore si incontra e si scontra raccontandosi e specchiandosi. Emerge un dialogo che dal particolare si allarga verso una complessità più profonda. Non solo un confronto tra uomo e donna ma un’opportunità di parlare del rapporto umano in generale con tutte le sue convinzioni e problematicità.
“La canzone ha senso compiuto. Te lo dice lei quando mettere il punto finale. La mia canzone è femmina”.
I Laica hanno scelto di presentare i loro lavori attraverso il web con video e brani dedicati. Il sodalizio artistico riporta ad una dimensione intima e raccolta della musica ma al contempo grintosa ed efficace in un connubio di suoni che si mescolano e fondono tra loro.
“Strizziamo l’occhio alla nostra tradizione italiana iper melodica e contemporaneamente e alle influenze internazionali più elettroniche e moderne”
Laica intervista Raffaele Vasquez
Chi è Raffaele Vasquez? Come ti definiresti?
Raffaele è ciò che fa. Mi identifico col mio lavoro. Avrei potuto fare altro, e quindi, essere altro. Ho abbandonato gli studi per via della mia incontrollabile passione per la musica, per l’arte in genere. Ero ad un esame dalla laurea, mi restava da sostenere l’ultimo e la tesi. Un giorno ho capito che questa sarebbe stata la mia strada e l’ho imboccata, con tutti i pro ed i contro del caso. Raffaele è uno di quei casi clinici che sono soddisfatti di aver fatto 30 e non 31. E trenta è il numero esatto degli esami che ho sostenuto. Un voluto non Dottore, un non economista. Forse un folle.
Se il tuo album Me fosse un piatto, quali sarebbero i suoi ingredienti e la ricetta per cucinarli insieme?
Un astice su una vellutata di nutella. Prendi il piatto per quello che è. Potresti anche rimandarlo al mittente, al cuoco tramite il cameriere per capire se non ci sia stato un errore di impiattamento o di abbinamento. Se decidi di fidarti, allora, gusta prima la dolcezza dell’astice, assaporane la polpa, non trascurare le chele, è il meglio. Serviti di uno schiaccianoci se lo trovi. Se è di tuo gradimento, una spolverata di prezzemolo fresco tritato. Zero olio. Lo rovini, secondo me. Sporcati le mani senza aver paura dell’odore che ti rimarrà addosso. Ora puoi due cose. La prima è terminare di mangiare l’astice e tuffarti nella nutella per toglierti il sapore del pesce. La seconda è provare ad intingere un pezzettino di carne nella nutella per la curiosità di provare l’intensione dell’eccentrico chef. Me è una scelta, un bivio, un’esortazione alla sperimentazione. Ma qualunque sia la scelta che farai, non potrai fare a meno di portare a casa il ricordo di uno chef che ti ha servito un astice con la nutella.
Come nascono le tue canzoni?
Da un’idea centrale, da un pensiero contorto. Una sola frase che è fulcro del pezzo, tutto il significato della canzone. La scrivo al centro e provo a scrivere il modo in cui ci sono arrivato. Io lo so già, ma la canzone mi serve per farlo capire agli altri. Solitamente la parte letteraria e quella musicale scivolano contemporaneamente per arrivare insieme al traguardo. E’ la metrica del testo che mi impone la musicalità e viceversa. Sono spesso inscindibili. Ad un certo punto si chiude il cerchio. La canzone ha senso compiuto. Te lo dice lei quando mettere il punto finale. La mia canzone è femmina.
Pianoforte e poi chitarra, due strumenti con due anime diverse, quale rappresenta di più la tua e in che modo.
Il piano mi completa.
Il piano è il motivo per cui ho abbandonato l’università. E’ il primo amore, è la scappatella da casa con la fidanzatina a 14 anni. Poi la chitarra per un motivo di spazio e di trasportabilità. Non sono stato mai un musicista da falò, ma mi piaceva portare lo strumento con me e cantare con gli amici sulla sabbia. Immagina quanto sarebbe bello poter fare un falò in spiaggia con un bel piano, a coda magari. Se lo suonassi io non sarebbe di certo un party molto allegro.
Credo che quello strumento mi sproni a far uscire dei lati cupi del mio essere. Ma prima o poi lo farò. Lo falò, scusa.
Malinconia e ironia amara, come riesci ad unirle nei tuoi testi?
Se qualche volta piangi è perché qualche volta hai riso.
Si intrecciano alla perfezione. La frase, il concetto centrale del pezzo, è molto spesso una battuta, un gioco di parole. E’ il mio modo per non piangere. Anzi, è un po’ come se fosse la mia maschera per non far vedere agli altri che sto piangendo. Non tutti i testi sono così però. Un uomo vero è quello che riesce a piangere, secondo me. Piangere perché si è commossi è un’altra cosa. Quella, forse, è più da femminucce. Ma piango anche per quello e me ne fotto.
Raffaele Vasquez intervista Laica
Annaclara, sei una cantautrice, cosa credi sia oggi la canzone d’autore e perché, secondo te, le donne hanno difficoltà a farsi strada in questo settore musicale?
Spesso si associa la produzione musicale di un cantautore alla narrazione autobiografica delle sue esperienze, ma credo che non sia così o quantomeno non del tutto. Il cantautore narra storie che ha vissuto, certamente, ma tante altre che ha ascoltato e altrettante che ha inventato ma tutte, e dico tutte, devono essere passate per la sua coscienza. L’autore firma un frammento di vita, inventata, ascoltata o vissuta, traducendola nel linguaggio della sua anima, questo per me significa essere un cantautore, altrimenti sarebbe solo un cronista, ieri come oggi. Per quanto riguarda le difficoltà che si possono incontrare in questo lavoro, non credo che le donne abbiano particolari problemi in più rispetto agli uomini, è che semplicemente stiamo vivendo un periodo un po’ complesso per tutti in cui le dinamiche dell’industria musicale sono cambiate. Quelli che sono a cavallo tra questo momento storico e quello precedente, non capiscono bene in che modo debbano muoversi per arrivare a farsi sentire. Si demonizzano i talent come se fossero la contrapposizione diretta a quella che è la classica gavetta nei locali o nelle sale prove negli scantinati, ma in realtà le due cose non sono in netto contrasto, possono essere consequenziali, tutto sta nell’intelligenza e nella maturità dell’artista. Se vogliamo, il problema reale sono alcune figure senza scrupoli che “macellano” dei giovani ancora non pronti a quello che le luci della ribalta comportano. Quindi no, nono sono le donne ad avere difficoltà ad affermarsi in questo settore bensì chi invece di comprendere le nuove dinamiche si barrica dietro false credenze, sicuramente più “confortanti” ma altrettanto sicuramente meno efficaci: la soluzione è l’evoluzione dinamica, e noi Laica ci stiamo provando con lavoro e passione.
Da Napoli a Milano. Cosa hai lasciato e cosa porti con te del Sud?
Ho lasciato la mia famiglia, i miei luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza, lo stupore alla vista del mare all’improvviso svoltando un angolo, l’odore del buon cibo anche in strada perché a Napoli le finestre sono sempre aperte. Ho portato con me la musicalità del suo linguaggio e il palpitare del suo inconsapevole battito vitale, la cucina che mi ha insegnato mia madre, la voglia di riscatto e di rivalsa e il senso critico verso il Sud con cui solo chi ha veramente vissuto al meridione può parlare senza scadere in classismo e demagogia.
Con Gabriele Aprile avete un progetto musicale con sonorità internazionali, hai già pensato di cantare in inglese in futuro?
Le mie prime canzoni le ho scritte in inglese, quando ancora i Laica non esistevano, ma lo stile in cui mi esprimevo era più associabile al Rock Blues e ciò era accentuato dal fatto che le cantassi anche con un timbro più scuro e marcato. Poi per puro caso, due anni fa, ho iniziato a scrivere in italiano e non ho più smesso. L’incontro con Gabriele ha aperto altri universi musicali: insieme abbiamo sperimentato associazioni sonore che strizzano l’occhio alla nostra tradizione italiana iper melodica e contemporaneamente e alle influenze internazionali più elettroniche e moderne. Questo per dire che l’italiano non è la nostra lingua definitiva perché in realtà abbiamo scelto di non scegliere e di permetterci di esplorare per valicare i confini del nostro paese scrivendo nuovi testi in inglese.
Dall'unione di quali mondi nasce Laica?
Se parli di mondi allora mi viene da dire che Laica è un “sistema” in cui trovi il mondo di Gabriele Aprile e quello di Annaclara Maffucci. Descriverti queste due realtà in una risposta più o meno breve sarebbe impossibile, ma posso dirti che sono due mondi che ruotavano a due velocità differenti ma che l’attrazione gravitazionale ha fatto si che gradualmente iniziassero a girare alla stessa velocità. Rimaniamo separati, non avviene mai una fusione completa, ed è proprio per questo che la nostra danza rimane un passo a due in cui ognuno porta il suo e nel cui risultato finale è impossibile determinare chi dei due ha veramente fatto cosa. Si, ammetto che questa risposta tira in ballo in maniera impropria una sorta di cosmogonia filosofica, ma la parola “mondi” mi ha portato alla mente subito questa immagine, magari grazie a questa tua domanda ci scriviamo su una canzone, chissà...
Quali sono i prossimi programmi, state già pensando ad un disco?
Quando ci viene chiesto se pensiamo ad un disco, la nostra risposta è un sempre un “forse sì o forse no”, scriviamo senza soluzione di continuità e senza prefissare dei precisi obiettivi o limiti. Il modo in cui ora stiamo pubblicando i nostri inediti prende spunto da quelle che sono le dinamiche web degli you-tuber ovvero ad ogni contenuto diamo lo stesso valore e la stessa dignità: non ci sono brani fatti per essere singoli “trainanti”, né brani che riteniamo meno forti e che servono per fare numero. Magari pubblicheremo un disco a breve che potrà essere tanto un album propriamente detto quanto una raccolta dei nostri singoli già pubblicati. Non siamo concentrati quindi tanto sulla forma della pubblicazione delle nostre produzioni ma piuttosto sulla volontà e sulla necessità di farci sentire, ed è per questo che l’obiettivo nel breve è quello di “squarciare la rete” e di suonare anche dal vivo nei locali.