Alberto Pizzi, in arte Messia, è un giovane rapper della provincia di Bologna. E chissà se la laurea in Scienze della Comunicazione ha avuto il suo peso per la voglia di scrivere le prime rime...
Lo raggiungiamo per un'intervista che apre una rubrica che Fratelli d'Arte vuole offrire a tutti i rapper, a tutto rap!
Partiamo dal tuo nome d’Arte: chi lo ha scelto, cosa vuol dire?
Ho scelto questo nome quando ho iniziato con le prime rime. Non c'è un motivo preciso, mi piace perché si presta a molte letture differenti.
Ci racconti come e perché ti sei affacciato proprio al rap?
Ho iniziato quando ero un ragazzino, l'incontro col rap è stato apparentemente casuale. Tra gli amici circolava qualche cd, in tv qualche videoclip. Inizialmente penso mi abbia attratto la potenzialità espressiva di questo genere musicale. Ho cominciato imparando a memoria i testi dei rapper americani più famosi, scoprendo poi il rap italiano, e iniziando poi a scrivere le prime rime.
Sei fortunato come collocazione temporale, perché dopo anni di difficoltà, il rap in questo momento sta ottenendo i giusti riconoscimenti ed è il genere più amato dalle nuove generazioni, è così?
Sì è vero in questo periodo il rap gode di grande visibilità, sul rap si scrivono libri, si fanno film... quindi sì sono fortunato perché il genere sta ottenendo un grande successo, di contro c'è il pericolo che tutto questo "tam tam" porti a un po' di perdita di consistenza.
Nei testi dei rapper oltre alla denuncia, ci sono anche tante risposte e proposte… si può rappare tutto?
Ormai direi proprio di sì, all'interno del panorama rap italiano le tematiche e gli approcci alla scrittura variano parecchio. Tuttavia ci sono senz'altro ancora molti limiti da superare.
Ci parli dell’ultimo tuo brano? A chi si rivolge, come è nato?
Il brano nasce dalla collaborazione con Beppe Pellegrino ("The Theacher"), musicista e amico. Mentre io sono cresciuto tra beat e rime, Beppe è un musicista di gran spessore, l'idea è quella di mettere in contatto i due mondi da cui proveniamo, che differiscono sotto molti aspetti, e vedere cosa ne vien fuori. Elephant per me è quindi un po' un banco di prova, un po' banco di scuola. Non è indirizzato a un target particolare, è un brano che parla di elefanti, esseri ingrombranti che a volte si sentono davvero fuori luogo.
E a proposito di “voce del verbo rappare”, nei tuoi testi qual è la parola più strana (leggasi petalosa) che hai inserito?
In un brano una volta ho scritto "pinnacoli", però non sono ancora riuscito a inventare parole nuove.
Le donne rapper nel panorama italiano sono veramente poche, secondo te perché il rap è un genere strettamente maschile?
Non saprei dare una spiegazione, so che le donne sono spesso oggetto di dibattito anche nelle sfide di freestyle. Magari questo le scoraggia o rende il genere poco attraente per le ragazze.
Però il rap non è un genere per soliste e basta, le collaborazioni sono sempre tante: tu a chi devi il grazie più grande?
Un grande grazie va a Kongrega, il collettivo di cui faccio parte, e a Beppe, per avermi proposto di lavorare a questo progetto. Ma in realtà ci sono tante persone che mi hanno aiutato e supportato in questi anni di attività musicale a Bologna. Senza dubbio devo molto a questa città.
Ed invece qual è la collaborazione impossibile che hai nel cassetto?
Penso mi piacerebbe molto collaborare con un rapper d'oltreoceano, anche emergente. Sarebbe fantastico entrare in contatto con la realtà del rap americano.
Io chiedo a tutti gli artisti come domanda finale qual è la loro nota musicale preferita e perché: esiste anche per un rapper una nota musicale preferita?
Per noi rapper è un po' complicato perché non conosciamo le note. Forse direi DO.
Ci saluti con rigo di freestyle per Fratelli d’Arte?
Fare un freestyle scritto è un po' complicato,
proprio perchè è scritto, non parlato,
lo scritto può sempre essere corretto, perfezionato,
invece se parlavo all'imperfetto mi sbagliavo. Ciao!